Ennesimo suicidio nelle carceri italiane, sono oltre quaranta episodi del genere dall’inizio dell’anno. Questa volta si tratta di uno straniero, il quale dopo aver ucciso moglie e figlia si è tolto la vita. Il SAPPE, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziari, accusa il Ministro della Giustizia Andrea Orlando e Santi Consolo del DAP.
Donato Capece, Segretario Generale del SAPPE, ha così commentato l’episodio: “Contiamo un altro detenuto suicida in carcere, a sancire il fallimento delle politiche penitenziarie del Governo Gentiloni e di quelli che l’hanno preceduto e della gestione di Santi Consolo alla guida dell’Amministrazione Penitenziaria. Più di quaranta suicidi in meno di nove mesi nelle carceri italiane è un dato mai registrato prima, dal dopoguerra ad oggi: un triste primato… E certifica, se mai vi erano ulteriori dubbi, che le strategie messe in atto da Ministero della Giustizia e DAP per prevenire i suicidi di detenuti, per altro non meno di un mese fa, sono fallimentari in tutti i sensi”.
“Non ci si ostini a vedere le carceri con l’occhio deformato dalle preconcette impostazioni ideologiche, che vogliono rappresentare una situazione di normalità che non c’è affatto. Gli ultimi governi italiani hanno sbagliato tutto sulle tematiche penitenziarie, consegnando le carceri in mano ai detenuti con la vigilanza dinamica ed il regime penitenziario aperto ed abbandonando a loro stessi i poliziotti penitenziari. E a nulla sono serviti gli Stati Generali sull’esecuzione penale (dove qualcuno avrebbe voluto addirittura inserire come esperti condannati con sentenze passate in giudicato….), che si sono rivelati un palliativo inefficace ed inutile rispetto alla drammaticità della situazione.
Non sono serviti a nulla, se non a dare visibilità a chi evidentemente nulla sa di carcere e detenuti (e men che meno di Polizia Penitenziaria)… Le celle devono stare chiuse per chi non ha un lavoro in carcere o segue un corso di formazione professionale: altrimenti si consente ai detenuti di girare per le sezioni detentive tutto il giorno senza fare nulla, a tutto discapito della sicurezza e della incolumità dei poliziotti penitenziari. Se lo mettano in testa”.
Continua Capece: “Il sistema delle carceri non regge più. Sono state tolte, ovunque, le sentinelle della Polizia Penitenziaria sulle mura di cinta delle carceri, e questo è gravissimo. I vertici dell’Amministrazione Penitenziaria hanno smantellato le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali. Mancano Agenti di Polizia Penitenziaria e queste sono le conseguenze. E coloro che hanno la responsabilità di guidare l’Amministrazione Penitenziaria si dovrebbe dimettere dopo tutti questi fallimenti. Rifuggiamo il sospetto che possa esserci un “disegno” che porta alla destabilizzazione della sicurezza, forse finalizzato ad abolire 41 bis ed ergastolo ostativo… “.
“Un detenuto che muore o che, peggio, si toglie la vita in carcere è una sconfitta dello Stato e dell’intera comunità”, conclude il segretario Capece. “Il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 21mila tentati suicidi ed impedito che quasi 168mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze.
Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di Polizia Penitenziaria e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione”.