Affisso sulla porta d’ingresso dell’abitazione della famiglia Mango c’è un avviso di sequestro. Un atto formale e normale che chiude questa incredibile tragedia familiare, che si è consumata in via Aldo Moro, a Bellona. Nel soggiorno, ci sono ancora i resti di alcuni mobili sparsi e, lungo la scalinata, una scia di sangue. È quello che resta di un’intera famiglia, distrutta dal gesto folle di un padre che non ha saputo frenare vecchi rancori, evidentemente mai assopiti, maturati nel tempo nei confronti della moglie, uccisa con tanti colpi d’arma da fuoco, mentre cercava di allontanarsi con la figlia dal proprio appartamento. Anna Carusone, freddata sulla scalinata in corrispondenza del primo piano, ha fatto da scudo con il proprio corpo alla figlia, che la precedeva di pochi metri. La vittima, il cui corpo si trova ora presso l’istituto di medicina legale dell’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta per i necessari esami autoptici, era molto legata alla figlia. Infatti, nel suo profilo facebook, ci sono tante foto in cui appare con Suami. Con lei, aveva un rapporto speciale. Si vedevano spesso in giro e, insieme, hanno affrontato anche la follia omicida dell’uomo.
Sembra essere stato quasi un brutto scherzo del destino, ma recentemente, come la maggior parte delle donne, ha postato su facebook un grido che accomuna ormai tante signore: «No alla violenza sulle donne». Mai avrebbe immaginato che sarebbe stata non solo oggetto di violenza, ma addirittura di barbara ed efferata uccisione. Il diario del social network la ricorda sempre con il sorriso. E molti si chiedono oggi perchè la vittima, nel corso della sua convivenza matrimoniale, non avesse mai denunciato episodi aggressivi. Tanti hanno riferito di presunte querele da lei sporte contro coniuge. Ma, nel pomeriggio, è ieri giunta una nota della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, che ha fatto chiarezza anche su questo aspetto. «In merito ai fatti occorsi nel Comune di Bellona – si legge nella stessa nota – quest’Ufficio tiene a precisare che alcuna denuncia risulta essere stata sporta dalla signora Anna Carusone nei confronti del proprio coniuge Davide Mango e né da altri familiari. La Procura non è stata mai investita delle vicissitudini afferenti i due coniugi e dell’eventuale conflittualità , ma la tragicità degli eventi impone ancora una volta di ribadire che, a fronte di eventuali situazioni di conflittualità le donne denuncino per consentire il pronto intervento delle forze dell’ordine, dei servizi sociali operanti sul territorio e dell’autorità giudiziaria. Solo l’emersione di tali fenomeni e l’intervento delle forze dell’ordine e della magistratura possono consentire che eventi del genere, per quanto possibile, vengano scongiurati nel futuro. Questa Procura della Repubblica persegue l’obiettivo della massima tempestività nel dare una risposta ai casi di violenza familiare oggetto di denunzia e ha sottoscritto un apposito protocollo con le forze dell’ordine e con gli enti operanti nel settore, che consente di realizzare un’efficace rete di sostegno alle vittime onde consentire alle medesime di superare qualsiasi remora nell’emersione delle vicende che le riguardano e di essere accompagnate nel percorso di denuncia e di affrancamento dalla violenza».
Per ore il citofono e il telefono sono stati l’unico contatto con il mondo esterno. Il mondo di Davide si è ridotto ai centoventi metri quadrati della casa che ha trasformato nella cabina di regia di un pomeriggio di film horror, di follia e terrore. Dall’altra parte del telefono e del citofono c’erano i carabinieri del Reparto operativo specializzato nel ruolo di negoziatori. Una sola parola fuori posto, in casi del genere, e la situazione peggiora ancor di più. I carabinieri hanno trovato centinaia di cartucce per fucili da caccia e proiettili da pistola. Li aveva sistemati su un tavolo, pronti a usarli tutti. Mango poteva fare danni peggiori di quelli che ha provocato. Ma i militari sono riusciti a impedirgli di andare oltre. Tre ore in cui un intero paese si è fermato, speranzoso che quella tragedia potesse fermarsi lì. L’Italia, attraverso la tv e i siti web, col fiato sospeso ha seguito a distanza ciò che accadeva in quel vicolo di via Aldo Moro. Dove, se Davide avesse aperto il gas, avrebbe fatto saltare un intero caseggiato. Ha sparato sui passanti per dieci minuti dopo avere ammazzato sua moglie, Anna Carusone, e aver sparato anche contro la figlia in fuga. Ma poteva, e forse voleva uccidere ancora. I carabinieri, coordinati sul posto dal comandante provinciale Alberto Maestri, guidati dal tenente colonnello Nicola Mirante, gli hanno parlato al telefono e al citofono. Lo hanno rassicurato anche quando ha iniziato a urlare di voler «parlare con Mussolini», quando ha detto «la mia vita è finita, ho ucciso mia moglie». I negozianti hanno cercato di fargli credere che la donna fosse ancora viva, anche dopo che, ormai cadavere e dopo due ore di estenuanti trattative, il colonnello Mirante l’ha trasportata fuori dall’androne che era già morta.
«Davide, parlami dei tuoi hobby», «Arrenditi, ti aiutiamo noi a venirne fuori». Mango ascoltava. Poi riprendeva a urlare frasi senza senso, in un susseguirsi di raptus. «Mi voleva lasciare», spiegava. Poi i singhiozzi. E, di nuovo, le minacce. «Davide, puoi ancora farcela. C’è tua figlia. Fallo per tua figlia, lascia le armi». Mango non ha più sparato dopo i primi dieci minuti di pazzia, ma di uscire di casa non ha voluto saperne. Si è asserragliato nell’appartamento, minacciando di aprire il gas ogni volta che aveva il sentore che i carabinieri potessero fare irruzione. Non è più uscito sui balconi, forse consapevole che i cecchini appostati sui palazzi vicini, evacuati ormai da ore, potessero sparargli. Ma l’obiettivo dell’operazione era tirarlo vivo da quell’inferno che lui stesso aveva scatenato. Salvargli la vita. Mango però non ha voluto saperne.
I carabinieri hanno tentato un’ultima carta lasciando che fosse anche suo padre a parlargli. Prima al telefono. «Davide, esci di là, smettila». L’uomo inizialmente ha seguito le indicazioni dei militari prima di rivolgersi al figlio. Poi anche lui ha perso la testa. E ha iniziato a strillare mentre intorno era silenzio e attesa. «Davide, Davide! Ora basta». Lo ha ripetuto per minuti che sono sembrati interminabili. «Possiamo aiutarti», hanno continuato i carabinieri. Ma niente, arriva lo sparo tanto indesiderato. A quel punto sono saltate tutte le cautele. Nell’ultimo tentativo di salvargli la vita, le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in casa, ma Mango si era sparato in bocca. Per lui non c’era più nulla da fare. Si cerca un movente preciso, e probabilmente ce ne sono diversi. La gelosia, secondo parenti e amici, immotivata, aveva avvelenato l’esistenza di Davide e Anna. Liti continue. Tali che hanno costretto la coppia a cambiare più volte casa anche dopo la nascita della figlia oggi quindicenne. L’estremismo politico che si alimentava di germi fascisti. O l’alcol, si perché lunedì pomeriggio Mango aveva bevuto molto. Tutto insieme, un cocktail esplosivo che si è manifestato in tutta la sua violenza lasciando l’amaro in bocca a un paese intero, a due famiglie sconvolte, a una ragazzina che a quindici anni deve già fare i conti con un passato tormentato. E a quei carabinieri che, fino all’ultimo, hanno cercato di farlo uscire vivo dall’inferno, compiendo un vero e proprio miracolo salvando la vita ad un uomo, morto probabilmente quando ha aperto il fuoco sulla moglie.