Italia, la sconfitta di un sistema. Anno zero: serve altro


La disfatta della Nazionale Italiana completatasi sul campo di San Siro, a Milano, è solo il timbro finale di un atto che sancisce il fallimento del calcio in Italia degli ultimi anni.
In Federazione c’è qualcuno che è rimasto ancora fermo alle candide gesta della notte di Berlino, quando Cannavaro e compagni alzano al cielo la Coppa del Mondo dinnanzi a Zidane, ma da quel momento di anni ne son passati ben undici e la figura indegna maturata è un segnale chiaro: il tempo è scaduto, urgono provvedimenti.
La ricerca delle soluzioni per risollevare il calcio italiano deve ora essere il primo pensiero di ogni componente della FIGC: serve ripartire dalle fondamenta, limitare gli errori e ritrovare nuova linfa per le future competizioni.
Eh si, perché uno dei feedback che ha fornito la debacle dell’intera avventura italiana è una nazionale con una dose di talento assai risicata; un qualcosa di inaccettabile per ogni italiano, abituato ad una tradizione calcistica importante, circondata da grandi campioni che, oramai, sono solo storia. Dunque, a meno che gli italiani non si siano imbrocchiti da un giorno all’altro, il problema, forse, proviene da altra sponda. Ai giovani vanno date tutte le possibilità a disposizione, senza pressioni e senza fretta. Attuare da subito le formazioni B e “costringere”, mediante norme precise, le società di arricchirle di elementi italiani, facilitando quindi l’ambientamento delle nuove leve ai campionati che contano, è la soluzione migliore che c’è attualmente su piazza. Ciò garantirebbe una migliore qualità del prodotto finale, già dimostrato da paesi come la Spagna, che sforna, da anni, talenti in erba da urlo.
E se, facendo una metafora, per un buon piatto non servono solo i giusti ingredienti, allora anche la scelta dello chef dev’essere ben ponderata. Chiudendo quindi la parentesi gastronomica, anche la nazionale ha bisogno di una figura di carisma, in grado di miscelare bene il materiale umano a disposizione. Nulla contro Ventura, ma era chiaro da tempo che non fosse l’uomo giusto per ricoprire un posto di così ampio spessore. Il buon Giam Piero ha esperienza internazionale quasi pari a zero, e insediarsi su una panchina del genere, implica caratteristiche che probabilmente ancora non ha acquisito nel suo bagaglio tecnico, elementi che il signor Carlo Tavecchio ha commesso il fatale errore di ignorare. Profili del calibro di Fabio Capello o Carlo Ancelotti, con un palmares di primo piano, non dovrebbero avere particolari difficoltà a rilanciare un nuovo ciclo.
“L’Italia chiamò” recita l’inno di Mameli. Federazione, ora rispondiamo presenti?

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