Un evento che ha cambiato la storia del nostro Paese
Un morto, 560 feriti, 360 arrestati e fermati, 25 milioni di euro di danni, 62 manifestanti e 85 appartenenti alle forze dell’ordine sotto processo dei quali nessuno ha mai scontato un solo giorno di carcere. Sono i numeri di un evento che avrebbe cambiato la storia dell’Italia e in particolare di una città che nell’estate del 2001 si ritrovò, suo malgrado, al centro del mondo. A vent’anni dal G8 di Genova il Paese si interroga sui fatti, sulle responsabilità e su ciò che è cambiato da allora. Lo fa a partire da un mosaico di eventi complesso e difficile da riassumere: da una parte il summit tra i grandi del mondo, dall’altra l’enorme risposta del movimento no-global con 300mila persone giunte da tutto il pianeta a rivendicare un altro modello di sviluppo. Nel mezzo gli scontri di piazza, la devastazione delle strade e dei negozi, la morte di Carlo Giuliani, la “perquisizione” della scuola Diaz diventata una mattanza, le torture nella caserma di Bolzaneto.
La scelta di Genova per il summit, stabilita durante gli ultimi mesi del governo Amato con votazione parlamentare, viene criticata in partenza perchè la conformazione della città avrebbe reso difficile la gestione dell’ordine pubblico. Il Genoa Social Forum, la rete di associazioni no-global coordinata da Vittorio Agnoletto, chiede al governo Berlusconi appena insediato di annullare l’evento, ma la risposta è negativa. Per ospitare la riunione del G8 la scelta ricade su Palazzo Ducale, nel pieno centro della città, che diventa così il punto nevralgico della “zona rossa”, un’area inviolabile e accessibile solo ai residenti. All’aeroporto Cristoforo Colombo vengono installate batterie di missili terra-aria per timore di attentati terroristici. La tensione nei giorni che precedono il vertice è altissima. Un fascicolo compilato dalla Questura, reso pubblico nei giorni successivi al G8, mette in guardia dalle azioni violente dei cosiddetti “black bloc” e parla, tra le altre cose, di “palloncini con sangue umano infetto” e “lanci di frutta con all’interno lamette di rasoio”
Mentre cresce il timore per i possibili scontri, molti genovesi decidono di abbandonare la città approfittando del periodo estivo. Nel frattempo si moltiplicano gli allarmi bomba. Il ministero dell’Interno finanzia il Comune e la Provincia di Genova per mettere a disposizione strutture pubbliche al fine di ospitare i manifestanti. Tra queste c’è anche la scuola Diaz, sulle alture del quartiere della Foce. Tra il 19 e il 20 luglio sono molti i cortei e le manifestazioni di protesta e nella maggior parte si tratta di azioni pacifiche, ma si temono infiltrazioni. La situazione degenera nel primo pomeriggio del 20 luglio. Un gruppo di manifestanti violenti sta devastando la zona alle spalle della stazione Brignole con l’intenzione di dirigersi al carcere di Marassi. Per contrastarli arriva dal centro città un battaglione di circa 300 carabinieri che tuttavia, a causa della scarsa conoscenza delle vie della città, sbaglia strada e si trova a bloccare e caricare il corteo autorizzato. E’ l’inizio di una serie di eventi a catena che porterà alla morte del 23enne Carlo Giuliani in piazza Alimonda, durante una convulsa ritirata dopo una carica fallita. Da una camionetta rimasta bloccata davanti a un cassonetto parte un colpo di pistola che centra il ragazzo con un estintore in mano: a sparare è il carabiniere 20enne Mario Placanica. Giuliani, caduto a terra e investito due volte dal veicolo, morirà poco dopo senza aver ricevuto soccorsi.
Il 21 luglio continuano scontri e disordini tra la Foce e corso Italia. L’episodio chiave avviene alle dieci di sera: i reparti mobili della polizia, supportati dai carabinieri, fanno irruzione nella scuola Diaz di via Cesare Battisti, trasformata in centro di coordinamento del Genoa Social Forum, ufficialmente per una perquisizione. La spedizione si conclude con 93 attivisti fermati e 61 feriti, dei quali tre in prognosi riservata e uno in coma. Il vicequestore Michelangelo Fournier, tra i coordinatori dell’operazione, la definì poi una “macelleria messicana”, pur addossando la responsabilità ad altri poliziotti. In seguito si accerterà che le forze dell’ordine avevano introdotto di proposito alcune molotov, in realtà ritrovate per strada durante gli scontri nel pomeriggio, per giustificare le violenze. Amnesty International la definì “la piu’ grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Gran parte dei fermati e arrestati durante le manifestazioni vengono portati nella caserma di Bolzaneto, in una zona periferica a diversi chilometri dall’epicentro degli scontri: in tutto, secondo un rapporto dell’ispettore Montanaro, si tratta di 240 persone di cui 184 in stato di arresto ma altre fonti riferiscono un numero doppio.
Le accuse parlano di “persone costrette a stare in piedi per ore e ore”, “schiaffi e strappo di piercing dalle parti intime”, “ragazze costrette a spogliarsi”, “insulti e minacce di tipo politico e sessuale”. Per la morte di Carlo Giuliani tutti i procedimenti si concludono in un nulla di fatto. Mario Placanica, il carabiniere ritenuto autore dello sparo in piazza Alimonda, viene prosciolto per legittima difesa. La Corte europea dei diritti dell’uomo critica duramente le carenze nella gestione dell’ordine pubblico ma non ravvisa violazioni della convenzione. Anche in sede civile, nonostante il tentativo dei familiari, non vengono individuati responsabili. Determinante, secondo i giudici, il fatto che Giuliani avanzasse verso la camionetta con un estintore, benchè una tesi proposta dai genitori affermasse che il 23enne lo brandisse proprio per difendersi dopo aver visto la pistola, e che fosse comunque troppo lontano per mettere a rischio l’incolumità dei militari. Placanica è stato posto in congedo assoluto dall’Arma e si è candidato nel 2005 alle elezioni comunali di Catanzaro. Per i fatti della scuola Diaz la Cassazione ha confermato condanne ai vertici della catena di comando delle forze dell’ordine a Genova con pene comprese tra 4 anni e 3 anni e 6 mesi, complice l’intervenuta prescrizione per le lesioni contestate, condanne che in nessun caso hanno comportato pene detentive
Per le violenze nella caserma di Bolzaneto sono state emesse in via definitiva 7 condanne e 4 assoluzioni: anche in questo caso la maggior parte dei reati è andata incontro a prescrizione. Per entrambi gli episodi la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che vi fu tortura e ha condannato l’Italia per non aver previsto questo reato nel proprio ordinamento, omissione alla quale il Parlamento ha posto rimedio solo nel 2017. Tra i 25 manifestanti finiti a processo per devastazione e saccheggio, 15 sono stati assolti in primo grado con la scriminante di aver reagito a un atto illegittimo dei pubblici ufficiali, e condannati poi per reati minori, altri 10 invece sono stati condannati con pene fino a 14 anni.