Non basterebbe un libro per ricordare una leggenda come Diego Armando Maradona. Abbiamo provato a buttare giù qualche riga per il Dio del Calcio.
(a cura di Antonio Citarelli e Antonio Carlino). Diego Maradona è morto. Non è un sogno, anzi. Non è un incubo, ma la triste realtà. Per Napoli, i napoletani e il mondo la notizia non è stata ancora metabolizzata. Non ci lascia solo il più grande calciatore della storia mondiale, ci lascia un personaggio iconico, diverso, ribelle e anticonformista. Ci lascia un uomo dalle mille fragilità. Ci lascia così, a modo suo: disatteso, inaspettato, come le sue finte e gol di pura fantasia. Maradona è stupore.
Per Napoli lascia un condottiero, un capopopolo, l’uomo da tutti riconosciuto come simbolo di riscatto morale dal popolo partenopeo, colui che ha portato Napoli sul tetto d’Italia. “Quando sono arrivato in Italia, c’era la netta sensazione che il sud non potesse vincere contro il nord” dirà nel suo docufilm. Ma lui ci riuscì: Milan, Inter e Juventus si inchinarono di fronte la sua grandezza, non poteva essere altrimenti. Era al di sopra di tutto.
LE ORIGINI. Diego Maradona cresce nel povero sobborgo di Villa Fiorito, una realtà buia e cupa di Buenos Aires. Inquinamento e povertà abbondano, ma lui è ancora un bambino innamorato del pallone: gioca e si diverte in quel Barrio. Uscire da quel posto vuol dire avercela fatta. La sua classe e l’abilità lo strapperanno alla miseria e anche l’Argentinos Juniors, scegliendo di portarlo con sè, si accaparrerà il più grande della storia. In patria non sia fa che parlare di un giovane “negrito” sui magazine sportivi in Argentina come nuovo Pelè, ma Diego non ci pensa: continua a fare ciò che sa fare perché ha già le idee chiare. “Ho due sogni: il primo è di giocare il Mondiale e il secondo è vincerlo”. Basterà attendere il 1986, dove alzerà la coppa e ruberà la scena.
Alla prima partita tra i professionisti, a sedici anni non ancora compiuti, fulmina con un tunnel bruciante un avversario e il pubblico ne resta incantato. Sarà il Talleres a vincerla quella partita, ma quel risultato interessa a pochi, c’è altro da ricordare. Di lì a poco arriva la chiamata del Boca, la squadra per la quale tifava il padre in cambio di ben 5 calciatori (tra cui Salinas, l’idolo di Don Diego) e un conguaglio di due milioni di dollari. Si esalta Diego, ma l’avventura dura una sola stagione per i problemi economici degli Xeneizes.
BARCELLONA. L’occasione di una nuova vita arriva dalla Spagna, lo prende il Barcellona e lo porta in Europa, con i grandi. Prima apparizione ed è subito tripletta, poi l’intervento killer di Goikoetxea e la lunga riabilitazione. In Blaugrana ci resterà due anni, vincendo una Coppa di Spagna, una Coppa della Liga e una Supercoppa, ma non è appagato. Sente la pressione di Barcellona, una città che non lo apprezza, e arriva quindi la chiamata del Napoli: è l’inizio di un’epopea dorata.
LA TRATTATIVA INFINITA. Il 1984 sarà ricordato per sempre, a Napoli, come l’anno del “Signore”. Nell’estate di quell’anno, dopo la fine del campionato con una salvezza raggiunta con fatica, l’ingegnere Corrado Ferlaino decise di stravolgere la cartina geopolitica del calcio italiano. Decise di acquistare il giocatore più forte del mondo: Diego Armando Maradona. Ma la trattativa per portarlo alle falde del Vesuvio e nel golfo di Partenope fu una di quelle trattative estenuanti. Una trattativa infinita. Un tira e molla incredibile tra Napoli, le banche e il Barcellona. Prima la richiesta di 11 miliardi dei catalani, poi 13 e poi e poi e poi. Con Diego ci fu subito un accordo sull’ingaggio. Zero problemi. Come se tra lui, la società e quel popolo ci fosse già un legame, invisibile ma fortissimo. E allora, Ferlaino, per ingaggiarlo ufficialmente, dovette tirar fuori tutto il suo ingegno e tutta la sua furbizia. Il calciomercato estivo stava per chiudere. La cordata azzurra si trovava a Barcellona per chiudere all’ultimo secondo la trattativa. Niente da fare. Ecco, però la furbata: la società azzurra finge di lasciare Barcellona per volare a Madrid e acquistare Hugo Sanchez dall’Atletico. Il Barça casca nel tranello e si convince a chiudere la trattativa: per circa 13 miliardi Maradona può andare. Tutto fatto? No, assolutamente no. Per il calciatore più forte e influente di questo sport non bastava tutto questo. Perché Ferlaino, nel frattempo, doveva tornare a Milano, fuori tempo massimo, e depositare il contratto. Al mattino aveva consegnato una busta vuota per prendere tempo. Arrivato in Lega, accampa una scusa e una guardia giurata (si dice fosse napoletano) lo lascia passare per sostituire il plico. E’ fatta. All’alba Napoli è in festa. Il 4 luglio Maradona sbarca in Italia. Il 5 diventa Re di un popolo: “Sono napolitano”, le sue prime parole, famosissime, in italo-spagnolo. E’ già magia!
“TANTO GLI FACCIO GOL LO STESSO”. 3 novembre 1985: al San Paolo arriva la rivale di sempre, la Juventus dell’avvocato Agnelli e Platini, la squadra del nord da battere. I bianconeri sono in un ottimo periodo, reduci da 8 vittorie in altrettante partite. Batterla è il sogno di tutta la città, il pubblico chiede la vittoria a gran voce e con Maradona ci crede. Sugli spalti gremiti è la folla a dare una spinta in più, acclama la squadra, acclama Diego e lui, el Diez, risponde con una delle sue magie, una delle più grandi, sfidando e abbattendo le leggi della fisica: una punizione contestatissima a due in area con barriera a cinque metri, è impossibile fare gol da lì, non c’è distanza. Ma Diego questo non lo sa o forse non voleva saperlo: “Passamela indietro, non preoccuparti tanto gli faccio gol lo stesso” dirà a Pecci, il quale, incredulo, vedrà partire assieme all’intero stadio una parabola carica d’effetto che fulmina un attonito Tacconi.
Un segnale forte e diretto al mondo, a Napoli. Con lui l’impossibile diventava possibile. Un campionato vinto più tardi, infatti, “la storia ha voluto una data”: 10 maggio 1987, Napoli campione d’Italia.
LA PARTITA DEL SECOLO, LA MANO DE DIOS E IL GOL PIU’ BELLA DELLA STORIA DEL CALCIO. 22 giugno 1986-Argentina-Inghilterra, Coppa del Mondo in Messico. Per la prima volta nel mondo del calcio una divinità scese dal cielo per calcare il terreno di gioco dello stadio Azteca di Città del Messico: quella divinità era Diego Armando Maradona da Lanus. In soli 300 secondi D10s dimostrò al pianeta di essere il più forte e folle calciatore della storia di questo sport. Prima la “Mano di Dio”: il gol di mano divenuto famosissimo anche negli anni successivi e poi lo show: IL GOL DEL SECOLO. Dieguito recupera palla nella sua metà campo e in quella zona del campo nessun essere umano potrebbe risultare pericoloso, nessuno tranne lui. I poveri inglesi in tutti i modi cercano di fermarlo ma lui, veloce come la luce e geniale come un mago, fa sparire e ricomparire il pallone come se niente fosse. In 11 tocchi, quei famosi 11 tocchi, Maradona supera prima tutti i difensori e poi mette a sedere il portiere. Il telecronista di quella partita, Victor Hugo Morales, non credeva ai suoi occhi, dalle sue parole trapelava entusiasmo misto a incredulità e questo il trascinante monologo: “LA TIENE MARADONA, LO MARCANO IN DUE…PORTA AVANTI IL PALLONE, PARTE DALLA DESTRA IL GENIO DEL CALCIO MONDIALE….POTREBBE PASSARE LA SFERA A BURRUCHAGA….SEMPRE MARADONA….GENIO GENIO GENIO…TA TA TA GOOOOOOOL. VOGLIO PIANGERE, DIO SANTO, VIVA IL CALCIO, SUPERGOOOOL, DIEGOL. STO PER PIANGERE, PERDONATEMI. MARADONA IN UNA DISCESA MEMORABILE PER LA GIOCATA DI TUTTI I TEMPI. “BARRILETE COSMICO”… DA QUALE PIANETA SEI VENUTO PER LASCIARE SUL POSTO TUTTI QUESTI INGLESI? AFFINCHE’ IL PAESE GRIDI FORZA Argentina CON I PUGNI STRETTI. ARGENTINA 2-INGHILTERRA 0, GRAZIE DIO PER IL CALCIO,GRAZIE PER MARADONA E PER QUESTE LACRIME”. Un racconto destinato alla storia, una telecronaca incredibile per la partita più bella di Diego Armando Maradona, per il gol più bello e importante mai visto su un campo di calcio. 1986, quell’anno Dio scese in terra e si mostrò al mondo. 1986, D10s conquista la gloria e la coppa del mondo..GRACIAS POR TODO.
25 NOVEMBRE, SE NE VANNO I RIBELLI. Sarà il destino. Sarà che alcune personalità, alcune volte, sono legate tra loro da un filo invisibile. Ma è incredibile come, da ieri in poi, ogni 25 novembre ricorderemo tre grandissime figure del calcio e della politica. 25 novembre 2005, George Best si spegne in un letto di una clinica di Londra. Se lo porta via un’infezione epatica. Georgie, da molti definitivo il Pelè Bianco, con il campione brasiliano non aveva veramente nulla in comune se non il talento calcistico. Best è quello più vicino a Maradona. Una sorta di pre-Diego. Come se il dio del pallone avesse voluto donare al mondo un calciatore tanto forte quanto dannato, proprio come l’argentino. Una versione europea di Maradona, questo ero Best. Sopraffatto dall’alcool e dai vizi più dannati. A lui, in questi anni, è stata attribuita una frase (non sappiamo se sia vera o meno ma ci piace pensare che lo sia) durante la partita tra Irlanda del Nord e Olanda. Best contro Cruijff. Il numero 7 più forte della storia, ormai sul viale del tramonto (era una partita di qualificazione ai mondiali nel 1976), aveva un solo obiettivo: dimostrare al mondo di essere lui il più forte del mondo. Salta un paio di avversari olandesi, poi il faccia a faccia con Johann. Dribbling secco, tunnel e palla scaraventata con rabbia verso le tribune. “Sei il più forte. Ma solo perché non ho tempo”. Poesia.
Il 25 novembre 2016, invece, scompare un altro ribelle: Fidel Castro. Anche in questo c’è un legame fortissimo con Maradona. Quando Cuba salutò il comandante rivoluzionario, Diego disse: “Se ne è andato per me un secondo padre”. Si, Fidel per l’argentino era proprio questo oltre che un amico e confidente. L’amicizia tra i due si era consolidata negli anni 2000, anni in cui Maradona passava da una clinica all’altra per risolvere il suo problema con la droga, ma i rapporti iniziarono ben prima, nel 1987. “Mi ha aperto le porte di Cuba quando in Argentina molte cliniche non mi volevano – aveva raccontato Diego dopo la morte di Fidel -. Ho avuto con lui un rapporto unico. Gli devo molto. Gli ho parlato della mia malattia, mi ha consigliato moltissimo. È stato una leggenda. Ho avuto con lui un rapporto di amicizia unico che non credo abbiano avuto altri”. Due figure simili anche dal punto di vista politico. Due bandiere del sud del Mondo. Diego, prima nel suo paese e poi in Italia; Fidel a Cuba. Erano legati da profondo odio verso i potenti, verso i ricchi, verso il “nord” del pianeta. Insieme alla schiera di napoletani illustri, anche Castro avrà sicuramente avrà abbracciato Diego alle porte del paradiso.
BENVENUTO IN PARADISO, UAGLIO’. Sarà andata più o meno così, ieri in un tardo pomeriggio di una fredda serata di fine novembre. La notizia che sconvolge il mondo e poi la salita al cielo. Ad accoglierlo Caravaggio, Masaniello, la dinastia dei Borbone, Antonio de Curtis (detto Totò), Eduardo De Filippo, Luciano De Crescenzo, Mario Merola, Carlo Pedersoli (in arte Bud Spencer), Massimo Troisi e Pino Daniele. Li immaginiamo tutti in fila, alle porte del paradiso o su una scala celeste, pronti ad abbracciare e salutare il Dio del Calcio. Una schiera di personaggi che hanno reso grande Napoli, tutte divinità nelle loro arti: dal cinema alla musica, dal teatro alla pittura fino ai re della Città.
Prima di entrare definitivamente in paradiso, ci piace immaginare che i primi ad andargli incontro siano stati due sue grandi amici: Pino Daniele e Massimo Troisi: “L’è purtat o pallon, Diego?, dice Pino.”Finalmente si arrivat. So tant ann ca’ vulesseme organizzà na partitell, ma nun apparamm mai. Ci servivi tu. (si abbracciano)”. Poi è il turno di Massimo, che con una semplice ma potentissima frase l’accoglie: “Benvenuto in paradiso, uaglio’. Ce pensav spiss a stu mument, finalmente te pozz abbraccià natavot”. Non appena Diego varca le porte celesti, scatta l’applauso dei presenti. Un altro dio si è unito a loro. Ora non manca più nessuno. Il firmamento napoletano è al completo.