Dear Kobe,
viviamo in un posto
dove chi ha 60 anni ti ricorda bambino
che accartocciavi i giornali al Botteghelle
e li tiravi dentro il canestro, come papà.
Qui, chi ha 40 anni sostiene
di aver giocato con te.
Tutti, ma proprio tutti.
Fa quasi ridere
ma fa capire quanto sei stato importante per loro.
Chi ha 30 anni ti ha idolatrato,
arrotolando come te le calze di papà
per tirarle nel secchiello e dire:
«Guarda papà, come Kobe».
Chi ha 20 anni, o meno
Non lo sa.
Lo ha sentito raccontare ma non ci crede fino in fondo
che davvero tu sei stato uno di noi.
Hai vestito quei colori,
hai sentito l’odore dello Scatolone,
quello del nostro Mare.
E ti guardavano straniti mentre alzavi al cielo un altro trofeo, un altro anello.
Sei stato quello di cui ci siamo vantati
«Ma sai che quando era piccolo è stato qui?»
Sei stato quello con cui abbiamo sognato
ché anche dalla piccola provincia si può sfidare l’Olimpo
ché anche dalla periferia si può essere grandi
ché in Cielo non ci vanno solo i predestinati.
Ci hai insegnato a sperare
e che il gioco non è solo un gioco
ma passione, impegno, presenza mentale, sangue sul parquet.
E ci siamo innamorati, del gioco, di te, del sogno.
Non siamo pronti a lasciarti andare.
E perché dovremmo?
Chi ha saputo sognare
chi ha saputo giocare con la vita
chi ha saputo sperare non muore mai.
Fino all’ultimo, fino alla sirena,
5.4.3.2.1… ciof.
Grazie Kobe,
Ti vogliamo bene,
I tuoi amici di Reggio Calabria ??