Secondo le previsioni dello Stockholm International Water Institute, nel 2030, circa il 47% della popolazione mondiale potrebbe avere problemi di scarsità di acqua. Una situazione aggravata dai cambiamenti climatici. Una soluzione potrebbe essere la dissalazione dell’acqua marina, ma a preoccupare sono gli impatti ambientali. Bisognerebbe insomma assicurarsi che gli impianti e i processi siano realizzati nel rispetto degli ecosistemi naturali e servono standard nazionali e internazionali adeguati allo scopo e analisi di impatto ambientale per verificare che siano rispettati. E’ quanto emerso in occasione del convegno “L’emergenza idrica e la dissalazione dell’acqua marina: impatti e normativa” organizzato da Idroambiente a Napoli, in occasione della convention dell’associazione Marevivo. Nell’occasione, Francesco Aliberti, professore di Igiene generale e applicata del dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli, ha portato come caso studio quello relativo all’impatto ambientale dello scarico del dissalatore di Lipari.Nello specifico, è stata realizzata un’analisi chimico-fisica, chimica, biologica e microbiologica dei campioni prelevati allo scarico o nelle sue immediate vicinanze rilevando un’alterazione dell’ecosistema. In particolare, nelle aree dove le concentrazioni saline superano la soglia di tossicità si è evidenziata una regressione della Posidonia marina, fondamentale per analizzare la stabilità dell’ambiente marino. Un impatto provocato anche dall’assenza di un’adeguata normativa ambientale sia a livello globale, che europeo e nazionale. “Le normative sono carenti, mancano utili ed efficaci misure di controllo, contrasti e gestione. Il decreto legislativo 152/2006 – spiega Aliberti – consente incrementi senza limiti della salinità marina, laddove è disposto che, per lo scarico di cloruri, questi ‘non valgono per le acque di mare’. Inoltre, gli impianti di dissalazione non sono stati inclusi nei progetti da sottoporre alla procedure di Valutazione di Impatto Ambientale, non esistono neanche delle linee guida per il monitoraggio degli impatti ambientali provocati dagli scarichi reflui, né viene regolamentato l’uso di sostanze chimiche di processo, soprattutto riguardo la loro tossicità”. In vista dei cambiamenti climatici, e dell’emergenza idrica, è necessario però trovare soluzioni. “La contemporanea maggiore domanda prevista di acqua potabile e scarsità di risorse indurrà ad adottare sempre più impianti di desalinizzazione – spiega Sergio Colagrossi, ingegnere esperto in tecnologie ‘green’ tra cui i dissalatori e coordinatore di progetti sperimentali – Alcune criticità emergono tuttavia sia per gli impatti che gli impianti dissalatori hanno sull’ambiente sia, al contrario, su alcune variabili che l’ambiente può introdurre negli impianti come ad esempio la presenza di alghe che possono rilasciare sostanze tossiche che hanno dimostrato di poter permanere nell’acqua potabile prodotta dagli impianti ad osmosi inversa”. Per Rosalba Giugni, presidente dell’associazione MareVivo, “ancora una volta il mare è indispensabile per la vita sul Pianeta, ma è necessario un impegno a livello globale per tutelare e preservare la risorsa idrica. Bisogna investire sin da subito sull’innovazione dei sistemi di dissalazione per renderli meno impattanti e prevedere delle normative efficaci per prevenire i rischi. Ci auguriamo – conclude – che questo vuoto normativo venga al più presto colmato. In base alla convezione di Barcellona, vista la tossicità di alcune sostanze necessarie al processo di dissalazione, gli Stati devono regolamentare il corretto uso e smaltimento di tali composti”.